Amare se stessi

Spesso, guardando intorno a me, o guardandomi allo specchio, mi accorgo di un grande problema che in molti abbiamo: non amiamo noi stessi.

A volte è perché non ci sentiamo amati dalle persone che abbiamo intorno, a volte è perché dobbiamo perdonarci qualcosa; non è importante la causa, ma l’effetto finale.

Io ho convissuto per anni cercando di farmi amare da mia madre, renderla felice di come ero, rendermi visibile ai suoi occhi. Ascoltavo le lamentele sulle figlie «ribelli», e cercavo di essere perfetta.

A seguire, ho vissuto cercando di essere la moglie migliore, l’amica migliore e, per finire, la madre migliore, con il risultato, opposto, di non sentirmi “migliore” affatto, in nessun caso.

Non ho limitato al mondo affettivo questo mio desiderio, anche al lavoro ho cercato sempre di essere migliore; ho dato moltissimo, perché mi piaceva ed ero felice di farlo. Non ho lavorato, ho «giocato», ed è stato bellissimo fino a quando mi sono fatta trascinare da questo spirito gioioso.

Solo nel periodo scolastico non ho dato il meglio di me, chissà perché…  😄

E poi subentra la paura di deludere gli altri. Gli altri che amiamo e che stimiamo, e che ci amano per come siamo e non per come vorremmo essere… Ma non c’è un controllo sulla nostra paura e, quindi, ce la prendiamo con noi stessi.

Giudichiamo gli altri con la nostra chiusura mentale, vedendo quello che vogliamo vedere, e poi, di conseguenza, ce la prendiamo con noi stessi e ci diamo un giudizio impietoso per non essere in grado di «meritare» l’affetto o l’amore altrui… Superbia, giudizio, questi sono i sentimenti che ci animano…

A volte, agli altri perdoniamo o passiamo sopra a cose anche grosse, ma a noi stessi non perdoniamo neppure la più piccola sbavatura. Esigenti e severi, fino alla crudeltà.

E poi “è sempre colpa nostra” se deludiamo gli altri, non c’è molto da aggiungere.

Eppure… eppure…

Ci sono voluti molti anni per comprendere di essere sempre stata amata da mia madre, moltissimo. Non era lei a non amarmi, ero io chiusa a sentire il suo amore. Lei aveva il suo modo di manifestarlo, forse poco evidente, ma l’amore che provava era immenso, come solo può esserlo quello di una mamma verso un figlio.

Sono dovuta andare al di là delle apparenze, delle infrastrutture che avevo costruito intorno al nostro rapporto, aprire il mio cuore per comprendere lei, e, piano piano, a seguire, tutti gli altri.

La maggior parte dei problemi che abbiamo con il prossimo dipendono dal modo in cui noi leggiamo le scene vissute insieme; diamo interpretazioni tutte nostre per poi crearci sopra dei film… Bisogna raschiare via tutte le sovrastrutture che mettiamo nel rapporto con gli altri, non lasciare agire il mentale, ma lasciare andare solo il cuore.

Spontaneità, leggerezza, solo questo. Gli altri sono come sono, non ci può essere alcun giudizio, perché giudicando, mettiamo noi e le nostre sovrastrutture addosso alle persone, alterando la nostra visione di “loro” e il legame esistente.

Dopo anni e anni, questo almeno sono riuscita a comprenderlo bene.

Ora mi resta il lavoro su me stessa… perché temo il giudizio degli altri? Perché penso ancora di deluderli?

O, almeno, perché vivo come un «dramma» il deludere qualcuno? Forse l’altro non è deluso affatto, perché non è colpito come me dal singolo episodio, o, forse, comprende i motivi che mi hanno spinta a fare qualcosa che lo ha deluso, e non se ne fa un problema…

Perché giudico me stessa? Bella domanda, vero?

Giudico me stessa perché applico lo stesso metodo che uso per gli altri, utilizzando però meno tolleranza…

Gli altri ci fanno da specchio. I difetti e le qualità che riscontriamo in loro, le abbiamo anche noi. E quando esprimiamo un giudizio sugli altri, in realtà stiamo giudicando noi stessi.

È un circolo vizioso… più giudichiamo severamente gli altri, più abbassiamo la nostra autostima.

Non so chi ha scritto questa frase che ho trovato su internet, forse un anonimo: “Conosci il mio nome, ma non la mia storia. Hai sentito parlare di ciò che ho fatto, ma non hai vissuto ciò che ho vissuto io. Sai dove sono, ma non da dove vengo. Mi vedi ridere, ma non sai quanto ho sofferto. Smetti di giudicarmi.”

Gli altri hanno una loro storia dietro, proprio come noi… Forse è il caso di ripetere, parlando di loro, che hanno problemi «proprio come me» …

Ho estratto questo testo da un link che ho già condiviso sul mio blog, che trovo interessante:

«Giudicare le persone equivale ad osservare un tuo stato di sofferenza spostando il punto di vista. Fare ciò non ti permetterà di star meglio, e come conseguenza aggraverà il senso di malessere.

È un concetto che ho approfondito recentemente e che mi ha fatto riflettere poiché rispecchia culturalmente il mondo attuale. C’è molta gente che oggi giudica gli altri per scontrarsi con le loro ideologie politiche, per denigrare le differenze culturali, per condannare in modo assoluto una persona da un suo atteggiamento.

Eppure, se ci fermiamo un attimo a ragionare, cosa si guadagna a giudicare le persone? Cosa c’è di buono nell’imporre una propria visione sulla vita e le idee degli altri in modo così aspro e spietato? La risposta è semplice: niente.

Anzi, piuttosto che da guadagnare c’è da perdere: si sprecano energie e tempo per costruire situazioni di scontro che contribuiscono a far star male e alimentano stati d’animo poco piacevoli di rabbia e rancore.

Giudicare, allora, è un modo per proiettare gli aspetti di te che non accetti ed evitare di assumerti la responsabilità di un lavoro di consapevolezza per migliorarli e cambiarli.
Per portare luce alle tue zone d’ombra, prova a fermarti ogni volta che stai per emanare il tuo giudizio nei confronti di qualcuno e chiediti:

Cosa mi spinge a giudicare questa persona?  Qual è il bisogno che sto cercando di soddisfare?

Se ad esempio provi rabbia e fastidio per le persone che amano stare al centro dell’attenzione, interrogarti su cosa davvero ti spinge a giudicarle potrebbe portarti a scoprire che anche tu provi il bisogno di sentirti visto e che per qualche motivo tendi a reprimere il tuo desiderio.
Se tendi a squalificare alcuni tuoi amici di fronte al gruppo, forse vuoi nascondere una bassa autostima e dimostrare invece di essere superiore a loro.

Ancora, giudicare una persona alle sue spalle potrebbe essere un atteggiamento di difesa che tiene gli altri lontani per paura di essere tradito.

Insomma, giudicare le persone è il modo per alimentare anzitutto il giudizio verso le parti di te che non accetti. Di conseguenza, il tuo giudice interno diverrà sempre più rigido nei tuoi confronti, ti imporrà di star male e farà terra bruciata nel campo delle tue relazioni poiché le persone non riusciranno più ad avvicinarsi e a fidarsi di te.»

Per interrompere questo circolo vizioso, è sufficiente riconoscere il momento in cui stiamo per formulare un giudizio e spostare volontariamente il pensiero sulle cose positive; l’altra persona ha i suoi problemi, le sue sofferenze, ma sicuramente avrà anche un percorso di vita che l’ha portata ad essere così com’è, a fare quello che fa e nel modo in cui lo fa, “proprio come me”.

L’accettazione di com’è l’altro porterà noi all’accettazione di noi stessi.

Il fatto di aver notato in mia madre, o nelle persone intorno, difficoltà a comunicare amore, vuol dire che anche io ho questa difficoltà.

Sono circondata da persone così, come avrebbe potuto essere più chiara con me la vita?

Ma adesso basta.

Voglio comunicare “da cuore a cuore” con tutti; basta fermarmi alla maschera che ciascuno indossa nei rapporti umani. Basta bloccarsi in base al comportamento delle persone, perché dobbiamo guardare il cuore degli altri, non altro.

È il cuore che vuole bene, non la mente.

Nuova parola nel mio vocabolario: accettazione.

Accettare il passato, il futuro, la vita. E accettare se stessi, perché la nostra «perfezione» è nell’essere imperfetti. Facciamo le cose così come riusciamo a farle, perché nessuno pretende di più da noi, non dobbiamo farlo neppure noi…

Non si deve essere «Gesù» per essere terapeuta, non si deve essere «Leopardi» per scrivere una poesia.

Siamo quello che siamo, divenuti così giorno dopo giorno, con le nostre esperienze, i nostri dolori e le nostre gioie. E non dobbiamo essere né un grammo di più, né un grammo di meno, perché altrimenti non saremmo così «perfetti».

❤️

La vita e il dolore

Vorrei approfittare di questo spazio per affrontare argomenti non semplici, invitandovi a riflettere, insieme a me, su temi importanti.

Evitando frasi scontate da bigliettino di un bacio Perugina, vorrei parlare di fatti reali che accadono, o possono accadere, nella vita di ciascuno di noi, e vorrei farlo senza dovermi arrampicare sugli specchi o omettere questioni delicate, che colpiscono tutti noi, solo perché non saprei cosa dire.

Non sempre c’è la risposta ai nostri «perché?», ma questo non deve obbligarci a non porci le domande.

Per questo oggi vorrei parlarvi di una cosa.

Giorni fa ascoltavo la canzone di Fiorella Mannoia, presentata al festival di Sanremo nel 2017, dal titolo “Che sia benedetta” e mi sono soffermata su alcune parti di testo:


Per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta
Per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta
E siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta, tenersela stretta

A chi trova se stesso nel proprio coraggio
A chi nasce ogni giorno e comincia il suo viaggio
A chi lotta da sempre e sopporta il dolore
Qui nessuno è diverso, nessuno è migliore
A chi ha perso tutto e riparte da zero perché niente finisce quando vivi davvero
A chi resta da solo abbracciato al silenzio
A chi dona l’amore che ha dentro

Ascoltare le parole di questa canzone riempie il cuore.

La vita è perfetta. È così, ma come spiegarlo a chi perde una persona cara in un tragico incidente, o nel crollo di un ponte, o distrutto, devastato da una estenuante e lunga malattia? Oppure ucciso in una rapina o in un attentato terroristico?

Ecco il problema: come conciliare la perfezione della vita con questo tipo di dolore?

Come trovare conforto in alcuni discorsi vacui dei preti durante le omelie dei funerali, dove cercano di convincere tutti di quanto sia fortunata la persona deceduta perché “ora è al cospetto di Dio”, apparentemente trascurando o non dando la giusta importanza all’immenso dolore di chi resta qui sulla Terra, di chi ha appena perso una persona cara, un amico, un genitore, un figlio.

Chissà perché queste riflessioni mi hanno, invece, fatto tornare in mente le parole di una poesia o di un messaggio di cui non ho trovato il vero autore (anonimo? Margaret Fishback Powers? Altro?):

Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata.
E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme:
le mie e quelle del Signore.
Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita.
Allora ho detto:
“Signore, io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che staresti stato sempre con me.
Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?”.
E lui mi ha risposto:
“Figlio mio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai:
i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia
sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”.

In realtà, non sappiamo veramente nulla di niente. Ignoriamo il perché di alcune cose, ignoriamo cosa c’è al di là del velo e il significato che diamo a certi avvenimenti è, il più delle volte, sbagliato.

Non sappiamo perché la Vita ci fa vivere queste esperienze, perché ci fa provare dolori insopportabili e poi ci fa trovare in noi la forza di sostenerli, non sappiamo e non possiamo capire ora.

Dobbiamo fidarci delle scelte che abbiamo fatto nascendo, di quello che abbiamo ritenuto importante imparare e che abbiamo accettato ancor prima di viverlo.

Vedere la speranza oltre il dolore.

Sembra impossibile, ma nulla è impossibile, non dobbiamo dimenticarlo mai.

Mi auguro solo che, al di là del velo, avremo la possibilità di comprendere questo dolore, perché farlo ora è difficile. La vita offre risorse inumane, riesce a dare la forza di andare avanti anche a chi ha perduto tutto, a chi pensa di aver perso l’anima. Può non essere comprensibile a noi ora, ma tutti abbiamo in noi l’opportunità e la forza di andare avanti.

Tanti anni fa, una zia di mia madre, che molti anni prima aveva perso un figlio per una malattia, dopo la morte del suo secondo marito, mi disse: “sai, dopo che hai vissuto la morte di un figlio, tutto il resto del dolore è sopportabile, è niente”.

Un dolore immenso ma che era riuscita a superare con una forza d’animo inaspettata, impensabile.

Probabilmente era stata anche lei portata in braccio lungo la spiaggia della vita…

❤️

Diventare inutili e vivere felici!

DIVENTARE INUTILI E VIVERE FELICI 🤗 💚Il mondo non è un peso da portare sulle spalle e non avverrà una catastrofe se…

Pubblicato da L'Essenza dell'Energia su Martedì 4 settembre 2018

Torniamo con i piedi per Terra..!

Sono qui, di nuovo, davanti alla pagina bianca del computer, sentendo di voler scrivere qualcosa. Per chi voglio scrivere? Per me sicuramente, ma anche per le persone a cui voglio molto bene.

La maggior parte di noi convive quotidianamente con problemi economici, sentimentali o meglio ancora, affettivi; tutto questo ci affligge e ci tiene continuamente in uno stato ansioso.

Quando ci sentiamo distaccati da tutto e insoddisfatti, ci stiamo allontanando dalle cose vere della vita. Quello che dobbiamo fare, allora, è riprendere e recuperare il contatto con noi stessi, attraverso la natura, la materia.

Dobbiamo calmare i pensieri ossessivi della nostra mente, quelli più cupi e circolari, e, semplicemente, dare «aria» al nostro corpo, far entrare in noi l’aria pura e fresca, far circolare in noi l’energia vitale. Le grandi strutture si basano su solide fondamenta, e, per noi, le solide fondamenta sono rappresentate dalla materia che ci circonda, in cui viviamo, dal mantenere i piedi ben saldi a terra.

L’uomo è la perfetta unione tra materia e spirito, non c’è perfezione se manca l’una o l’altro, o se solo le loro proporzioni sono sbilanciate.

Viviamo collegati in internet, ma scollegati alla Terra.

È necessario svuotare la mente, impegnandola a seguire percorsi diversi dai soliti, dobbiamo sempre ricordarci di spostare il negativo verso il positivo. Ogni volta che un pensiero triste e cupo ci assale, dobbiamo forzarci a pensare a qualcosa di bello, di divertente. Dobbiamo FARE qualcosa di bello e di divertente!!

Ci sono persone che non ridono più a crepapelle, sorridono e basta. Per me questo è il primo campanello d’allarme che ci avvisa che è giunta l’ora di cambiare il nostro modo di approcciare la vita.

«Tornare con i piedi per Terra» significa fare qualcosa di bello per noi stessi, qualcosa di piacevole, divertente, appagante!

Già il solo pensare ad una camminata a piedi nudi su un prato verde dà una idea di pace e libertà; lasciare semplicemente andare lo sguardo e osservare l’orizzonte al mare, o le armoniose curve di colline e montagne, tutto questo per riempire i nostri cuori di serenità.

A volte può essere sufficiente una passeggiata, una corsa per le strade o in mezzo alla natura, curare il giardino e le piante, ma può aiutare molto anche ballare davanti la televisione!

Bisogna avere finalmente fiducia in se stessi, lasciare andare la paura e imparare ad amare.

Proviamo a cambiare quello che possiamo cambiare di noi. Lo dobbiamo fare per noi stessi, perché in fondo ce lo meritiamo davvero.

La serenità è l’anticamera della felicità.

❤️