Cambiamenti

Tutti stiamo vivendo un periodo di grossi sconvolgimenti; alcuni di noi li vivono in prima persona, altri, invece, li vivono in persone molto vicine e care…

A volte ci ritroviamo ad essere come l’acqua nella pentola bollente e di essere al punto in cui il bollore la fa fuoriuscire dai bordi… non c’è modo di abbassare in tempo il fornello, l’acqua uscirà lo stesso.

Le sensazioni di sorpresa, stupore, dolore o rabbia si alternano nei nostri cuori e ci rendono confusi, insicuri e impauriti; quello che però dobbiamo sapere è che da tutto questo dolore può uscire solo del bene.

Qualunque sia il futuro della nostra vita, i cambiamenti ci scuotono dal torpore nel quale ci eravamo rifugiati, insoddisfatti nel cuore pur sentendoci al sicuro. La sensazione di sicurezza nasce però dalla paura del cambiamento, e spesso, preferiamo il certo all’incerto anche se quel «certo» non è il meglio per noi.

Ho trovato un articolo molto interessante che ho aggiunto anche sul blog (questa la URL: https://spiraglidiluce.org/2017/03/02/il-lato-oscuro-della-zona-di-comfort/), che spiega molto bene cosa significhi per noi essere nella “zona confortevole”.

«Non esiste, infatti, solo la zona confortevole, di cui abbiamo parlato prima, ma anche una zona oscura. In questa seconda zona, ci si abitua alla disarmonia ed alla sofferenza. Ci si abitua così tanto che ad un certo punto diventa quasi irrinunciabile il viverci dentro.»

Spesso si fa fatica ad uscire dalla routine della nostra vita; può essere soddisfacente o dura, ma non importa, perché per noi quella è “la nostra vita”.

Quello che, invece, dovremmo sempre chiederci è se la nostra vita ci rende felici, perché solo se siamo gioiosi, in pace con noi stessi e con gli altri, possiamo veramente dire che quello che stiamo vivendo è il bene per noi.

Quando invece ci rendiamo conto che in noi manca la sensazione di felicità e serenità interiore, allora, molto probabilmente, ci stiamo accontentando di qualcosa che assomiglia molto alla zona oscura di cui parlava l’articolo.

Non dobbiamo più avere paura, non abbiate paura di vivere cercando, aspirando alla gioia, alla felicità. Non scambiate l’abitudine per felicità, perché non gli assomiglia affatto!!

Basta accettare compromessi, basta essere esitanti…!!! Troviamo in noi il coraggio di affrontare le nuove avventure che la vita ci propone, con gioia e speranza!

Auguro a tutti voi un nuovo anno, il 2019, che vi permetta di raggiungere il vostro traguardo, stracolmo di gioia e Amore!

💚

Amico specchio

L’amico specchio di cui vorrei parlarvi non è quello che atterrisce molte persone, soprattutto prima del periodo estivo (perché non c’è alcuna “prova costume” da sostenere…!), ma è quello che quotidianamente accade senza che noi ce ne rendiamo conto.

La vita ci presenta di continuo situazioni «specchio» di ciò che è presente in noi.

In genere abbiamo tutti una persona in cui notiamo, in modo eclatante, il difetto o i difetti, che ci infastidiscono sopra ogni cosa; una evidenza così forte da oscurare tutti i suoi lati positivi e personificarla nel difetto.

Bene.

La maggior parte delle volte il difetto che vediamo nell’altro, tanto irritante, è una nostra caratteristica.

So che ora molti di voi diranno: «Si sta sbagliando! Non è così, non è così PER ME!»

Quando ci troviamo di fronte a persone che hanno tutte la stessa tipicità negativa, quando questa caratteristica risuona dentro di noi, per poi continuare a ripresentarsi in altre circostanze, credetemi, è una peculiarità nostra.

Chi nota spesso l’aggressività delle persone, molto probabilmente, in fondo a se stesso, ha una aggressività, magari repressa, ma presente; lo stesso accade per chi nota la debolezza altrui, perché probabilmente ha delle fragilità che non accetta.

Tutte le situazioni che ciclicamente la vita ci ripresenta, sono gli indizi da utilizzare per capire qualcosa di più su noi stessi, con l’obiettivo di riconoscere il problema, ma tenendo presente che poi dobbiamo anche comprenderlo e accettarlo. Vedremo allora che le circostanze ripetitive saranno sempre meno frequenti fino a non presentarsi più e quello sarà il segnale che ne siamo usciti.

La vita offre l’opportunità di svolgere un grande lavoro su noi stessi, ma deve essere fatto senza finzione se si vuole veramente riuscire a stare bene. Diciamoci la verità, in queste contesti, non è facile convivere con noi stessi, perché in fondo sappiamo benissimo di avere qualcosa da risolvere!

Ma, come scrivevo prima, le situazioni devono essere prima comprese e poi accolte.

Dobbiamo accettarci così come siamo sempre, perché non c’è passato che conti, non c’è futuro già deciso, c’è il presente e solo il presente con cui confrontarci.

Ripensare continuamente al passato, ai nostri errori di allora o agli errori altrui, non porta a nulla, crea solo scompenso, ansia, rabbia, tristezza. Avete fatto caso che si rimugina molto più sugli eventi negativi del passato e quasi mai sulle situazioni che ci hanno resi felici? O, se si pensa ad un momento gioioso, è solo per notare che non c’è più? Guardiamo al negativo con una facilità sconcertante, ma sbagliamo a farlo.

Il passato, nel bene e nel male, ci ha resi quello che siamo. Ha importanza solo in funzione di quello che siamo OGGI. Non c’è errore o rimpianto su cui scervellarsi, siamo oggi quello che siamo, è così e basta.

Il futuro? Chi guarda al futuro sa bene che sono soltanto speranze o timori, a seconda del proprio stato d’animo, ma nulla di certo.

Quello su cui dobbiamo puntare, quello su cui possiamo contare, è solo «l’adesso».

💚

Amare se stessi

Spesso, guardando intorno a me, o guardandomi allo specchio, mi accorgo di un grande problema che in molti abbiamo: non amiamo noi stessi.

A volte è perché non ci sentiamo amati dalle persone che abbiamo intorno, a volte è perché dobbiamo perdonarci qualcosa; non è importante la causa, ma l’effetto finale.

Io ho convissuto per anni cercando di farmi amare da mia madre, renderla felice di come ero, rendermi visibile ai suoi occhi. Ascoltavo le lamentele sulle figlie «ribelli», e cercavo di essere perfetta.

A seguire, ho vissuto cercando di essere la moglie migliore, l’amica migliore e, per finire, la madre migliore, con il risultato, opposto, di non sentirmi “migliore” affatto, in nessun caso.

Non ho limitato al mondo affettivo questo mio desiderio, anche al lavoro ho cercato sempre di essere migliore; ho dato moltissimo, perché mi piaceva ed ero felice di farlo. Non ho lavorato, ho «giocato», ed è stato bellissimo fino a quando mi sono fatta trascinare da questo spirito gioioso.

Solo nel periodo scolastico non ho dato il meglio di me, chissà perché…  😄

E poi subentra la paura di deludere gli altri. Gli altri che amiamo e che stimiamo, e che ci amano per come siamo e non per come vorremmo essere… Ma non c’è un controllo sulla nostra paura e, quindi, ce la prendiamo con noi stessi.

Giudichiamo gli altri con la nostra chiusura mentale, vedendo quello che vogliamo vedere, e poi, di conseguenza, ce la prendiamo con noi stessi e ci diamo un giudizio impietoso per non essere in grado di «meritare» l’affetto o l’amore altrui… Superbia, giudizio, questi sono i sentimenti che ci animano…

A volte, agli altri perdoniamo o passiamo sopra a cose anche grosse, ma a noi stessi non perdoniamo neppure la più piccola sbavatura. Esigenti e severi, fino alla crudeltà.

E poi “è sempre colpa nostra” se deludiamo gli altri, non c’è molto da aggiungere.

Eppure… eppure…

Ci sono voluti molti anni per comprendere di essere sempre stata amata da mia madre, moltissimo. Non era lei a non amarmi, ero io chiusa a sentire il suo amore. Lei aveva il suo modo di manifestarlo, forse poco evidente, ma l’amore che provava era immenso, come solo può esserlo quello di una mamma verso un figlio.

Sono dovuta andare al di là delle apparenze, delle infrastrutture che avevo costruito intorno al nostro rapporto, aprire il mio cuore per comprendere lei, e, piano piano, a seguire, tutti gli altri.

La maggior parte dei problemi che abbiamo con il prossimo dipendono dal modo in cui noi leggiamo le scene vissute insieme; diamo interpretazioni tutte nostre per poi crearci sopra dei film… Bisogna raschiare via tutte le sovrastrutture che mettiamo nel rapporto con gli altri, non lasciare agire il mentale, ma lasciare andare solo il cuore.

Spontaneità, leggerezza, solo questo. Gli altri sono come sono, non ci può essere alcun giudizio, perché giudicando, mettiamo noi e le nostre sovrastrutture addosso alle persone, alterando la nostra visione di “loro” e il legame esistente.

Dopo anni e anni, questo almeno sono riuscita a comprenderlo bene.

Ora mi resta il lavoro su me stessa… perché temo il giudizio degli altri? Perché penso ancora di deluderli?

O, almeno, perché vivo come un «dramma» il deludere qualcuno? Forse l’altro non è deluso affatto, perché non è colpito come me dal singolo episodio, o, forse, comprende i motivi che mi hanno spinta a fare qualcosa che lo ha deluso, e non se ne fa un problema…

Perché giudico me stessa? Bella domanda, vero?

Giudico me stessa perché applico lo stesso metodo che uso per gli altri, utilizzando però meno tolleranza…

Gli altri ci fanno da specchio. I difetti e le qualità che riscontriamo in loro, le abbiamo anche noi. E quando esprimiamo un giudizio sugli altri, in realtà stiamo giudicando noi stessi.

È un circolo vizioso… più giudichiamo severamente gli altri, più abbassiamo la nostra autostima.

Non so chi ha scritto questa frase che ho trovato su internet, forse un anonimo: “Conosci il mio nome, ma non la mia storia. Hai sentito parlare di ciò che ho fatto, ma non hai vissuto ciò che ho vissuto io. Sai dove sono, ma non da dove vengo. Mi vedi ridere, ma non sai quanto ho sofferto. Smetti di giudicarmi.”

Gli altri hanno una loro storia dietro, proprio come noi… Forse è il caso di ripetere, parlando di loro, che hanno problemi «proprio come me» …

Ho estratto questo testo da un link che ho già condiviso sul mio blog, che trovo interessante:

«Giudicare le persone equivale ad osservare un tuo stato di sofferenza spostando il punto di vista. Fare ciò non ti permetterà di star meglio, e come conseguenza aggraverà il senso di malessere.

È un concetto che ho approfondito recentemente e che mi ha fatto riflettere poiché rispecchia culturalmente il mondo attuale. C’è molta gente che oggi giudica gli altri per scontrarsi con le loro ideologie politiche, per denigrare le differenze culturali, per condannare in modo assoluto una persona da un suo atteggiamento.

Eppure, se ci fermiamo un attimo a ragionare, cosa si guadagna a giudicare le persone? Cosa c’è di buono nell’imporre una propria visione sulla vita e le idee degli altri in modo così aspro e spietato? La risposta è semplice: niente.

Anzi, piuttosto che da guadagnare c’è da perdere: si sprecano energie e tempo per costruire situazioni di scontro che contribuiscono a far star male e alimentano stati d’animo poco piacevoli di rabbia e rancore.

Giudicare, allora, è un modo per proiettare gli aspetti di te che non accetti ed evitare di assumerti la responsabilità di un lavoro di consapevolezza per migliorarli e cambiarli.
Per portare luce alle tue zone d’ombra, prova a fermarti ogni volta che stai per emanare il tuo giudizio nei confronti di qualcuno e chiediti:

Cosa mi spinge a giudicare questa persona?  Qual è il bisogno che sto cercando di soddisfare?

Se ad esempio provi rabbia e fastidio per le persone che amano stare al centro dell’attenzione, interrogarti su cosa davvero ti spinge a giudicarle potrebbe portarti a scoprire che anche tu provi il bisogno di sentirti visto e che per qualche motivo tendi a reprimere il tuo desiderio.
Se tendi a squalificare alcuni tuoi amici di fronte al gruppo, forse vuoi nascondere una bassa autostima e dimostrare invece di essere superiore a loro.

Ancora, giudicare una persona alle sue spalle potrebbe essere un atteggiamento di difesa che tiene gli altri lontani per paura di essere tradito.

Insomma, giudicare le persone è il modo per alimentare anzitutto il giudizio verso le parti di te che non accetti. Di conseguenza, il tuo giudice interno diverrà sempre più rigido nei tuoi confronti, ti imporrà di star male e farà terra bruciata nel campo delle tue relazioni poiché le persone non riusciranno più ad avvicinarsi e a fidarsi di te.»

Per interrompere questo circolo vizioso, è sufficiente riconoscere il momento in cui stiamo per formulare un giudizio e spostare volontariamente il pensiero sulle cose positive; l’altra persona ha i suoi problemi, le sue sofferenze, ma sicuramente avrà anche un percorso di vita che l’ha portata ad essere così com’è, a fare quello che fa e nel modo in cui lo fa, “proprio come me”.

L’accettazione di com’è l’altro porterà noi all’accettazione di noi stessi.

Il fatto di aver notato in mia madre, o nelle persone intorno, difficoltà a comunicare amore, vuol dire che anche io ho questa difficoltà.

Sono circondata da persone così, come avrebbe potuto essere più chiara con me la vita?

Ma adesso basta.

Voglio comunicare “da cuore a cuore” con tutti; basta fermarmi alla maschera che ciascuno indossa nei rapporti umani. Basta bloccarsi in base al comportamento delle persone, perché dobbiamo guardare il cuore degli altri, non altro.

È il cuore che vuole bene, non la mente.

Nuova parola nel mio vocabolario: accettazione.

Accettare il passato, il futuro, la vita. E accettare se stessi, perché la nostra «perfezione» è nell’essere imperfetti. Facciamo le cose così come riusciamo a farle, perché nessuno pretende di più da noi, non dobbiamo farlo neppure noi…

Non si deve essere «Gesù» per essere terapeuta, non si deve essere «Leopardi» per scrivere una poesia.

Siamo quello che siamo, divenuti così giorno dopo giorno, con le nostre esperienze, i nostri dolori e le nostre gioie. E non dobbiamo essere né un grammo di più, né un grammo di meno, perché altrimenti non saremmo così «perfetti».

❤️